In Europa,
alla stregua di altre parti del mondo, la lotta di classe oggi si
dispiega e concentra intorno al debito. Con una crisi del debito che
arriva a toccare gli Stati Uniti e il mondo anglosassone, ovvero i paesi
che hanno prodotto, oltre all’ultimo disastro finanziario, soprattutto
il neoliberismo. La relazione creditore-debitore, che sarà al centro
della nostra argomentazione, intensifica i meccanismi di sfruttamento e
di dominio in forma trasversale, senza fare alcuna distinzione tra
occupati e disoccupati, consumatori e produttori, attivi e inattivi,
pensionati o beneficiari di sussidi. Di fronte al capitale, che si
presenta come il Grande Creditore, il Creditore universale, sono tutti
“debitori”, colpevoli e responsabili.
Una
delle principali poste in gioco del neoliberismo resta quella della
proprietà – com’è chiaramente dimostrato dalla “crisi” attuale – poiché
la relazione creditore-debitore esprime un rapporto di forza tra
proprietari (di capitale) e non proprietari (di capitale). Attraverso il
debito pubblico a indebitarsi è l’intera società, cosa che non
impedisce, ma esaspera, “le disuguaglianze”, che sarebbe venuto il
momento di chiamare “differenze di classe”. Le illusioni economiche e
politiche di questi ultimi quarant’anni cadono l’una dopo l’altra,
rendendo le politiche neoliberiste ancora più brutali. La new economy,
la società dell’informazione, la società della conoscenza sono tutte
solubili nell’economia del debito.
Nelle
democrazie che hanno trionfato sul comunismo pochissime persone
(qualche funzionario dell’Fmi, dell’Europa e della Banca centrale
europea, insieme a qualche politico) decidono per tutti secondo gli
interessi di una minoranza. La grandissima maggioranza degli europei
viene tre volte deprivata dall’economia del debito: deprivata del già
debole potere politico concesso dalla democrazia rappresentativa;
deprivata di una quota sempre maggiore della ricchezza che le lotte
trascorse avevano strappato all’accumulazione capitalistica; ma
soprattutto, deprivata del futuro, ovvero del tempo, come decisione,
scelta, come possibile.
La
successione delle crisi finanziarie ha fatto violentemente emergere una
figura soggettiva che era già presente, ma che oggi ormai investe
l’insieme dello spazio pubblico: la figura dell’“uomo indebitato”. Le
realizzazioni individuali promesse dal neoliberismo (“tutti azionisti,
tutti proprietari, tutti imprenditori”) ci spingono verso la condizione
esistenziale di quest’uomo indebitato, responsabile e colpevole del suo
stesso destino. Questo saggio vuole proporre una genealogia e
un’esplorazione della fabbrica economica e soggettiva dell’uomo
indebitato. Dopo la precedente crisi finanziaria, scoppiata insieme alla
bolla di internet, il capitalismo ha messo da parte le narrazioni
epiche elaborate intorno ai “personaggi concettuali”
dell’imprenditore, dei creativi, del lavoratore indipendente
“orgoglioso di essere il padrone di se stesso”, i quali, nel perseguire
unicamente i loro privati interessi, lavorano per il bene di tutti.
L’investimento,
la mobilitazione soggettiva e il lavoro su di sé, predicati dal
management fin dagli anni Ottanta, si sono trasformati in un imperativo
ad assumere su di sé i costi e i rischi della catastrofe economica e
finanziaria. La popolazione deve farsi carico di tutto ciò che le
imprese e lo Stato sociale “esternalizzano” verso la società, dunque
anzitutto del debito. Per i padroni, i media, gli uomini politici e gli
esperti, le cause della situazione non sono da ricercare nelle politiche
monetarie e fiscali che scavano il deficit – operando un massiccio
trasferimento di ricchezza verso i più ricchi e le imprese – né nel
susseguirsi delle crisi finanziarie che, dopo essere di fatto scomparse
durante i “gloriosi trent’anni”, continuano a ripetersi e a estorcere
strabilianti somme di denaro alla popolazione, nel tentativo di evitare
ciò che viene chiamato “crisi sistemica”.
Per
tutti costoro, colpiti da amnesia, le vere cause di
queste crisi incessanti risiederebbero nelle eccessive pretese dei
governati (in particolare di quelli dell’Europa del Sud), che vogliono
vivere come “cicale”, e nella corruzione delle classi dirigenti, che in
realtà hanno sempre svolto un ruolo nella divisione internazionale del
lavoro e del potere. Il blocco di potere neoliberista non può e non
vuole “regolare” gli “eccessi” della finanza, perché il suo programma
politico è ancora quello rappresentato dalle scelte e dalle decisioni
che ci hanno portato all’ultima crisi finanziaria. Con il ricatto del
default del debito sovrano, intende invece portare fino in fondo questo
programma, di cui fin dagli anni Settanta fantastica la completa
applicazione: ridurre i salari a un livello minimo, tagliare i servizi
sociali per mettere il welfare al servizio dei nuovi “assistiti” (le
imprese e i ricchi) e privatizzare qualunque cosa.
Per
analizzare non solo la finanza, ma anche l’economia del debito, che la
ingloba e la supera, nonché la sua politica di assoggettamento, siamo
privi di strumenti teorici, di concetti, di enunciati. (…) Le categorie
classiche della sequenza rivoluzionaria dei secoli XIX e XX – lavoro,
sociale e politica – vengono attraversate dal debito e in larga parte da
questo ridefinite. Occorre dunque avventurarsi in territorio nemico e
analizzare l’economia del debito e della produzione dell’uomo
indebitato, nel tentativo di costruire armi utili a combattere le
battaglie che si annunciano. Poiché la crisi, lungi dal chiudersi,
rischia di estendersi.
(Maurizio Lazzarato, estratti dell’introduzione al volume “La fabbrica dell’uomo indebitato”, DeriveApprodi, 180 pagine, 12 euro).
fonte: libreidee.org
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