Dall’inizio
della crisi, i titoli di credito (assegni bancari o postali, cambiali,
tratte ecc. ecc.) che alla scadenza non hanno trovato copertura sono
cresciuti quasi del 13%.
Sempre secondo
quanto ci riferisce l'Associazione di Mestre, le sofferenze bancarie in
capo alle aziende hanno subito un incremento del 165%.
A proposito di
banche, abbiamo la banca più antica del mondo, il Monte Paschi, che è in
bancarotta e negli ultimi quattro anni sono stati necessari ben due
interventi statali per rianimarla e prolungarne l’agonia: il primo con i
Tremonti Bond, il secondo con Monti Bond. Costo complessivo
dell'operazione, oltre 4 miliardi di euro, pari all'intero gettito IMU
sulla prima casa. Sarebbe curioso indagare approfonditamente anche sugli
altri gruppi bancari, al fine di capire l’esatto stato di solvibilità e
l’utilizzo che è stato fatto della montagna di derivati che hanno in
pancia. Che siano stati utilizzati anche per abbellire i conti? Non lo
sappiamo, ma se è vero che pensare male si commette peccato, è anche
vero che talvolta ci si azzecca.
Pochi giorni
fa, è emerso che nei bilanci dell'Inps c’è un buco di oltre 10 miliardi
di euro, e sempre lo stesso ente, in base ai dati del 2011, fa sapere
che in Italia le prestazioni pensionistiche inferiori ai 1000 euro, sono
il 77% del totale, e oltre 2,4 milioni di pensionati, invece, ricevono
un assegno inferiore a 500 euro mensili. Somme che, vista l'esiguità e
il crescente costo della vita, condannano i percettori a vivere in
condizioni di crescente indigenza e ovvia difficoltà, soprattutto in età
avanzata.
I disoccupati
sfiorano i 3 milioni. Il tasso disoccupazione è intorno al 12%, mentre
quella giovanile è prossima al 40%, con picchi vicini al 50% al sud.
Fuori del perimetro dei dati appena enunciati, c’è un numero
considerevole di cassaintegrati in forza ad aziende che non avranno mai
la possibilità di riprendersi da questa crisi, e presto diverranno
disoccupati in pianta stabile proiettando il tasso di disoccupazione ben
oltre il 15%.
A dimostrazione
di quanto appena affermato a proposito del crescente stato di povertà,
proprio pochi giorni fa, il sito Zerohedge, ha diffuso un'analisi
secondo la quale il tasso di rischio di povertà italiano ha superato
quello della Spagna. Non solo, ma in un'altra analisi diffusa dallo
stesso sito, emerge che il tasso di disoccupazione giovanile ha superato
quello del Portogallo attestandosi oltre il 38%, un livello analogo a
quello della Grecia di appena 2 anni fa.
Nell’ultimo
anno, nonostante la spremitura di tasse operata dal Governo Monti con il
sostegno congiunto del Pd e del Pdl, il debito pubblico è aumentato di
oltre 80 miliardi di euro superando la barriera dei 2000 miliardi,
attestandosi a quasi il 128% del PIL. Ormai si viaggia speditamente
verso i parametri greci.
Nello stesso
periodo il PIL è crollato del 2,4%, e se dovessimo allungare l’orizzonte
ai 5 anni precedenti, osserveremmo che la crescita nazionale si è
contratta di oltre il 7% dall’inizio della crisi.
La produzione
industriale è crollata a livelli che non si vedevano da decenni, così
come sono crollati consumi precipitati sotto i livelli del 2001. Un
numero considerevole di famiglie confermano che possono arrivare a fine
mese solo intaccando i risparmi accumulati in una vita, o dalle
generazioni passate.
Un numero sempre più significativo di comuni e regioni, sono in difficoltà finanziarie e sempre più prossimi alla bancarotta.
Le pubbliche
amministrazioni statali devono alle imprese circa 70 miliardi di euro,
che si sommano agli ulteriori 70 miliardi che devono pagare le autonomi
locali, arrivando all'iperbolica cifra di 140 miliardi. Queste somme non
rientrano nel perimetro del debito pubblico e, se così fosse, il
rapporto debito/Pil schizzerebbe oltre il 140%; ammesso che ci siano
investitori disponibili a comprare il debito pubblico per pagare i
debiti delle Pa.
Le imprese
italiane, negli ultimi sei anni, ossia dall'inizio della crisi, hanno
perso oltre 500 miliardi di euro di fatturato. La cancelliera Angela
Merkel, non più tardi di qualche settimana fa, ha affermato che con ogni
probabilità, l'attuale crisi, si protrarrà per almenoaltro 5 anni. E
arriviamo così a undici anni di crisi. Ci dicono che dobbiamo lavorare
oltre 40 anni, e ci può anche stare. Ma in queste condizioni significa
trascorrere oltre un quarto della vita lavorativa e professionale in
profonda crisi. E non è affatto escluso che quelle che verranno in
seguito non siano ancor più frequenti o meno profonde di quella attuale.
Il rischio è
quello di convivere con recessioni economiche per buona parte della
carriera professionale. Questo, è semplicemente impossibile.
Paghiamo una
novantina di miliardi all'anno per interessi sul debito pubblico, che si
autoalimenta e cresce per inerzia. Questo, nella sua connotazione
attuale, e in un simile ambiente, è semplicemente impagabile.
Siamo
all'ingovernabilità totale e, con ogni probabilità, passeranno ancora
lunghi mesi prima di poter avere un esecutivo capace di governare. Per
quanto qualificato possa essere, che un nuovo governo possa invertire
questa tendenza, è solo un pia illusione che può albergare nelle menti
che pericolosamente rifuggono dalla realtà dei fatti. Il processo è
inarrestabile, e tenderà ad accelerare con il trascorrere dei mesi. Se
tutto ciò non fosse sufficiente, si potrebbe andare avanti ancora per
ore. Ma non cambierebbe affatto il risultato.
Ormai il punto
di non ritorno è stato superato, da un pezzo. L’Italia è fallita,
fatevene una ragione. Se per crederci attendete la conferma da parte del
mondo politico, state pur certi che verrà annunciata solo dopo che vi
avranno tolto tutto, anche la speranza.
Si sta cercando
di mantenere l’apparente solvibilità dello Stato e del sistema
bancario, rendendo insolventi un numero mostruosamente crescente di
imprese e famiglie. Questo è solo un massacro alla devastazione che
rischia di abbattere del tutto quel che rimane del sistema produttivo
nazionale, compromettendo o rendendo più ardua ogni possibilità di
risalita.
È
indispensabile avere un piano B per garantirci, eventualmente, una via
di fuga e uscire dai vincoli imposti da questa camera a gas chiamata
eurozona. Occorre dichiarare il default e annunciare la ristrutturazione
del debito tagliandone il capitale, gli interessi e riprogrammando le
scadenze verso un sentiero più sostenibile.
Questo evento,
per quanto traumatico possa essere, nel comune interesse di tutti, se
concertato anche con istituzioni sovranazionali e creditori, limiterà
gli effetti devastanti di un default incontrollato che non tarderà ad
arrivare. Eviterà l'annientamento dell'apparato produttivo e del tessuto
imprenditoriale, altrimenti perennemente al servizio del debito e di un
apparato burocratico/amministrativo degno della peggiore Unione
Sovietica, fino alla scomparsa.
L'alternativa a
questo saranno scontri sociali, rivolte, scomparsa di buona parte del
tessuto produttivo, svendita di interi settori industriali, perdita dei
diritti acquisiti, compressione dello stato sociale, povertà diffusa e
bancarotta. Quella vera intendo, quella imposta dalle regole del mercato
selvaggio.
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